La storia cinematografica del fantasy è suddivisa in vari periodi, che partono dal cinema muto fino ad arrivare ai giorni nostri. Già nel cinema delle origini vi è una prima distinzione tra un cinema più realistico, ovvero quello dei fratelli Lumière, e uno fantastico, che corrisponde alla produzione di Méliès. Quest’ultimo potrebbe essere considerato il re della favola cinematografica: suoi sono trucchi come le dissolvenze incrociate, le metamorfosi, le trasformazioni a vista (che riprendono il repertorio della prestidigitazione), che non puntano tanto a creare nello spettatore un dubbio sull’incertezza del regime di realtà, ma a meravigliare. Da solo ha realizzato quasi 500 film, di cui molti che vanno sul fantasy-horror, come Viaggio sulla Luna e Viaggi di Gulliver, dove vengono mostrati personaggi come spettri, scheletri, alieni, diavoli, ecc.

Rilevante è stato anche lo studio di Tzvetan Todorov, che nella sua Introduction à la littérature fantastique fa ricorso alla categoria della “esitazione” tra due tipi di spiegazione possibili, ovvero quella naturale e quella soprannaturale: secondo l’autore, la produzione cinematografica sembrava quasi temere che lo spettatore potesse rimanere deluso se la narrazione si prolungava troppo sul confine tra realistico e fantastico, ricorrendo al massimo a fenomeni quali allucinazioni o visioni dovute alla pazzia o all’ipnosi.
Nel 1908 era stata girata la prima trasposizione su schermo del Dr. Jekyll e Mr. Hyde, che ha poi portato a una settantina di versioni successive, mentre nel 1910 Thomas Edison ha prodotto la prima trasposizione di Frankenstein.
Per quanto riguarda la cinematografia italiana, il primo kolossal è Cabiria, del 1914, diretto da Giovanni Pastrone e sceneggiato da Gabriele D’Annunzio, il quale aveva curato le didascalie. Si tratta di un film in realtà pseudo-storico, e il personaggio di Maciste – prototipo dell’eroe forte e solitario ma buono, quindi modello di alcuni supereroi successivi – appare in poche sequenze, di cui una fantasy: nel momento in cui va a salvare Cabiria dal sacrificio al dio fenicio Moloch a Cartagine, sconfigge i nemici con i pugni e scappa da un passaggio segreto. Questo personaggio divenne così famoso che vennero realizzati sedici film su di lui nei successivi dodici anni, ma solo Maciste all’inferno (1926) di Guido Brignone ha elementi fantastici.

Fu grazie all’Espressionismo tedesco che il fantastico iniziò a raggiungere, tra gli anni Dieci e Venti del secolo scorso, maturità artistica, portando su schermo figure e temi dell’immaginario popolare e della letteratura fantastica, come il doppio nel caso de Lo studente di Praga (1913) e la creatura che muore per amore ne Il Golem (1920) di Paul Wegner. Altri autori rilevanti sono stati anche Friedrich W. Murnau e Fritz Lang. L’effettiva codificazione come genere si verificò solo a Hollywood con il contributo di registi come Paul Leni, Karl Freund, Rudolph Maté, ecc.
Si potrebbe dire, dunque, che il periodo d’oro del cinema fantastico coincide con il cinema delle ombre, sia tedesco che nordico, con film come Der Golem, nelle sue due versioni del 1915 di Henrik Galeen e del 1920 di Paul Wegner e Carl Boese, Il gabinetto del dottor Caligari (1920) di Robert Wiene, e Trilby (1915) di Maurice Tourneur.
Per quanto il fantastico possa essere legato anche alla fantascienza e l’horror, non si può ovviamente identificare con nessuno dei due: si è parlato molto del Nosferatu (1922) di Murnau, in cui il carattere fantastico si trova principalmente nella contaminazione inquietante di caratteri animali (come dita artigliate, gusto per il sangue) e di decrepitezza estrema, un aspetto cadaverico, quasi si avesse a che fare con un fantasma vivente sull’orlo della decomposizione. Tuttavia è vero che le origini del cinema fantastico si confondono con quelle del film dell’orrore con adattamenti di opere letterarie famose, come Frankenstein di Mary Shelley e Dr. Jeckyll e Mr. Hyde di Stevenson.

In Nosferatu l’idea di fantastico è abbastanza vicina alla concezione di “perturbante” di Freud, come dimostrato ad esempio dai cortei funebri con le bare degli appestati e dalle strade di Brema appena rischiarate da una luce crepuscolare, rendendo anche gli ambienti familiari estranei e inquietanti.
Altro prodotto rilevante è La morte di Sigfrido (1924) di Fritz Lang, prima parte dell’opera conosciuta come I Nibelunghi. A differenza del secondo episodio, La vendetta di Crimilde, in questo caso possiamo trovare molti elementi del fantasy: l’eroe solitario, il viaggio in terre pericolose abitate da creature come i nani e un drago, manifestazioni della magia, lotte, ecc. Il tutto viene unito ai canoni dell’espressionismo, a giochi di luci e ombre, e un immaginario fantastico ed esotico che ritroviamo già in Destino (1921), sempre dello stesso regista. Questo prodotto è considerato un capolavoro, forse anche più importante di Metropolis (1926). In entrambi i casi, comunque, è molto curata la scenografia (specialmente per quanto riguarda i particolari architettonici), che si potrebbe persino considerare più rilevante della psicologia dei personaggi in tutto il cinema di Lang.
Sempre del 1924 è Il ladro di Baghdad di Raoul Walsh, che si basa su alcuni racconti de Le Mille e una notte. La storia è quella di Aladino, ma il protagonista viene chiamato Ahmed e si innamora di una principessa di nome Badr al-budūr. Questo film è un capolavoro del muto, che deve molto alla scenografia di William Cameron Menzies e alla regia di Walsh: il suo successo fu tanto che vennero fatti dei rifacimenti, di cui uno con lo stesso titolo nel 1940.
La prima star del fantastico potrebbe essere considerato Lon Chaney Senior, soprannominato “l’uomo dai mille volti” per le sue grandi doti interpretative e trasformistiche, qualità considerate indispensabili per questo genere, specialmente se si pensa che in quegli anni non si poteva ancora contare sugli effetti speciali odierni e su budget elevati.
Con l’avvento del sonoro si è reso impossibile poter ancora portare avanti il cinema delle ombre, considerato che le voci necessitano della concretezza dei corpi. Si è così passati dai film espressionisti a quelli hollywoodiani, pensati principalmente per un pubblico di massa. Famosa è diventata la Universal, casa di produzione che si è specializzata in prodotti in cui fantasy e horror sono legati. Negli anni ’30, tra i film più rilevanti, abbiamo Frankenstein (1931) e The invisible man (1933), diretti da James Whale, in cui è risultato fondamentale il lavoro del direttore di fotografia Arthur Edeson, il quale ha saputo calibrare in maniera eccellente il gioco di ombre e luci.


Da non trascurare è ciò che ha fatto negli anni ’40 la produzione indipendente di Val Lewton, esclusa dall’universo delle majors, ma che sul piano espressivo non è stata da meno: tra i film ci sono Il bacio della pantera (1942) e Ho camminato con uno zombie (1943), due b-movies a basso budget in cui, nonostante i mezzi artigianali, si è riusciti a ricreare atmosfere fantastiche funzionali al racconto.
Nello stesso periodo ha cominciato a svilupparsi il fantasy rivolto soprattutto a un pubblico infantile, in cui viene dato un ruolo rilevante all’universo della favola al cui interno nulla è più impossibile, dove lo straordinario diventa normale, quasi come accadeva nelle opere di Méliès. Si possono prendere come esempio, in questo caso, Il mago di Oz (1939) di Fleming, in cui troviamo case violino, streghe che cavalcano nell’aria e spaventapasseri parlanti, e Biancaneve e i sette nani (1937), diretto da David Hand e prodotto da Walt Disney. Hanno iniziato ad esserci anche numerosi film che coniugavano la favola con il musical, come Mary Poppins (1964) di Robert Stevenson e produzione Disney.
Le produzioni europee degli anni ’40 che rientrano nel fantastico sono poche: tra queste Il ladro di Bagdad (1940) di Ludwig Berger, Michael Powell e Tim Whelan, noto per i suoi effetti speciali molto notevoli per l’epoca in cui è stato prodotto, e Incubi notturni (1945, conosciuto anche come Nel cuore della notte) di Alberto Cavalcanti, Charles Crichton, Basil Dearden, Robert Hamer.
Un “sostituto” del cinema delle ombre è stato il filone dei fantasmi, in cui persone defunte interagivano con i viventi, rimanendo però invisibili a molti di loro. Anziché una “condizione d’ombra” si ha una “condizione d’invisibilità”, in cui comunque il personaggio in questione risulta visibile allo spettatore poiché interpretato da un attore. Rientrano in questa tipologia di film Il fantasma e la signora Muir (1947) di Joseph L. Mankiewicz e Il ritratto di Jennie (1949) di William Dieterle.
Questa sorta di scambio tra mondo dei morti e dei vivi lo ritroviamo fino agli anni ’90, ma con una maggiore presenza di sfumature melodrammatiche e di tipo sentimentale, come in Always (1989) di Stephen Spielberg, Ghost (1990) di Jerry Zucker e Casper (1995) di Brad Silberling. Con tale tipologia di film si dimostra come anche nel cinema, in questo periodo, si senta la necessità di superare i limiti della razionalità e delle vicende terrene per trovare delle rassicurazioni. In La vita è meravigliosa (1946), la figura del fantasma è vista come un angelo che mostra al disperato protagonista, George Bailey (interpretato da James Stewart), come sarebbe il mondo senza di lui. A tal proposito si può citare un’opera italiana, Fantasmi a Roma (1961) di Antonio Pietrangeli, che si basa sulla convenzione di invisibilità, in cui il tema delle apparizioni degli spettri si mescola con la commedia nazionale del periodo.
Negli anni ’50 la casa produttrice inglese Hammer Film si è specializzata sulla produzione di film incentrata su personaggi come Frankenstein e Dracula, figure molto conosciute nel fantastico che scivola nell’horror.
In Italia in questo periodo questo genere si mescola con il cinema d’autore, come accade nella scena finale di Miracolo a Milano (1951) di Vittorio De Sica, in cui si assiste a un volo sulle scope. Ci sono anche alcuni casi di film mitologico, in cui eroi lottano contro creature mostruose o personaggi che appartengono ad ambiti diversi dall’immaginario danno luogo a duelli trasversali, come in Zorro contro Maciste (1963) di Umberto Lenzi ed Ercole alla conquista di Atlantide (1961), un classico del genere peplum; ma anche di fantasy intriso di horror (ad esempio I vampiri di Riccardo Freda, uscito nel 1957).

Negli Stati Uniti degli anni ’60 sono state prodotte delle trasposizioni a basso costo di opere di Edgar Allan Poe da parte di Roger Corman, e Rosemary’s Night (1968) di Roman Polanski, esempio cinematografico delle teorie di Todorov sul fantastico.
Per quanto riguarda il fantastico unito alla commedia, in questi anni si può prendere come esempio Il paradiso può attendere (1978), remake de L’inafferrabile signor Jordan (1941), in cui viene trattato il tema della reincarnazione del mondo in un corpo diverso.
Negli anni ’70 iniziarono la loro carriera grandi registi come David Lynch e John Carpenter, che produssero film al confine tra fantastico e horror. Nello stesso periodo, il cinema fantastico iniziò anche a coinvolgere anche la religione e l’esoterismo, con prodotti quali L’esorcista (1973) di William Friedkin e L’esorcista II: l’eretico (1977) di John Boorman, in cui veniva messo in risalto il cambiamento che avviene al corpo se posseduto dal demonio. Si utilizza quindi la religione per dare al fantastico una specie di investitura metafisica.
Il genere fantasy come lo conosciamo noi, però, ha iniziato ad avere ampia diffusione solo a partire dagli anni ’80 con l’heroic fantasy a sfondo epico guerresco, di cui il primo modello è Conan il barbaro (1981) di John Milius. Molto interessanti per gli spettatori sono state tutte quelle storie di ambientazione medievaleggiante che si rifanno alle saghe cavalleresche o si svolgono in terre totalmente immaginate, come Excalibur (1981).
In questo periodo, con l’avvento di nuove tecnologie digitali si è modificato il modo di realizzare fantasy nel cinema: c’è stato un miglioramento nella resa dell’illusione e della smaterializzazione, come dimostra The haunting (1999) di Jan de Bont, remake de Gli invasati (1963) di Robert Wise.
I mondi creati, inoltre, sembrano sempre più reali nella loro irrealtà grazie al perfezionamento degli effetti: esempi in tal senso sono Jurassic Park (1993) di Steven Spielberg e Jurassic Park III (2001) di Joe Juston. Tim Burton, invece, è l’unico regista con cui gli effetti rimangono subordinati a una poetica personale, specialmente in film come Edward mani di forbice (1990) e Il mistero di Sleepy Hollow (1999).
Il sempre maggiore uso di effetti speciali ha portato anche a prodotti in cui convivono cartoni e personaggi reali, come in Chi ha incastrato Roger Rabbit (1988) di Robert Zemeckis e Space Jam (1996) di Joe Pitka, così come è stata possibile la cartoonizzazione dei personaggi, come dimostra The mask (1994) di Chuck Russell.
Nel mondo cinematografico orientale, l’utilizzo delle tecnologie digitali è alla base della “magia” de La tigre e il dragone (2000) di Ang Lee, una contaminazione di generi in cui i duelli sono dei “balletti” aerei.
Sempre più frequente è stata la presenza della figura del demonio in persona sulla Terra, interpretato spesso da attori di successo: ne Ascensore per l’inferno (1987) di Alan Parker, Robert De Niro è Luis Cypher, un distinto signore, mentre Al Pacino ne L’avvocato del diavolo (1997) incarna il demoniaco personaggio di un boss delle assicurazioni, che sarebbe pronto a comprare l’anima di un giovane avvocato.

Più accurata è stata anche la riproduzione dei mondi dei supereroi dei fumetti, come nelle serie dedicate a Spiderman e Batman, in cui sono stati rappresentati sia gli aspetti ludici e spettacolari che quelli più cupi e oscuri delle storie di questi eroi (specialmente nei due film di Batman del 1989 e 1992 realizzati da Burton).
Negli anni 2000 l’high fantasy è il sottogenere che ha avuto più successo. Ma a dare un’ulteriore spinta al fantasy sono state la saga di Harry Potter e quella de Il signore degli anelli di Peter Jackson, in cui viene mostrata la labilità dei confini (da una parte il trionfo della fantasia, dall’altro gli oscuri e segreti risvolti) che caratterizzano questo tipo di narrativa. La trasposizione dei libri di Tolkien, in particolare, ha portato alla riscoperta del genere anche in altri ambiti, come quello letterario, dei giochi (tradizionali, di ruolo e videogames) e della musica. Oltre a questi, non meno famosi sono Le cronache di Narnia (dal 2005) e la serie dei Pirati dei Caraibi (dal 2003), che è una fusione tra high fantasy e cappa e spada.
La trilogia di Jackson, in particolare, ha cambiato molto il modo di vedere il fantasy, tanto che si potrebbe affermare che c’è un prima e un dopo Il Signore degli anelli: già negli anni ’80 alcuni film di questo filone ebbero enorme fama, tra cui La storia Infinita, Lady Hawke, La storia Fantastica, così come la letteratura e i giochi di ruolo di tale genere erano già realtà di successo, ma le opere di Lucas e Scott stavano spostando il focus più sulla fantascienza a scapito del fantasy. Lo schema narrativo di quest’ultimo era sempre lo stesso, ovvero un target di riferimento molto giovane, un’opera letteraria da cui prendere spunto e il budget che doveva coprire principalmente i costi degli effetti visivi.
In realtà già nel 1978 Ralph Bakshi aveva tentato una trasposizione de Il Signore degli Anelli, ma la sceneggiatura, essendo troppo fedele al libro, risultava troppo prolissa. Questa cosa, insieme ad un uso eccessivo della tecnica del rotoscopio, ha portato ad un’interruzione delle riprese a metà dell’opera.
Negli anni ’90 si è avuto un rallentamento qualitativo nella produzione di fantasy, salvo alcune eccezioni come Dragonheart e Fantaghirò e serie tv come Xena ed Hercules. L’uscita de Il Signore degli Anelli ha però dimostrato che questo genere non solo poteva interessare gli spettatori, ma poteva avere molto successo, come dimostrano i tre miliardi di dollari di incasso totale in tutto il mondo e i diciassette premi Oscar, di cui undici assegnati all’ultimo capitolo, Il Ritorno del Re.

Prima del lavoro di Jackson, inoltre, i film fantasy si basavano sugli stereotipi classici di mondi abitati da esseri come gnomi, fate ed elfi, ed erano visti con un po’ di superficialità. Uno dei tanti aspetti su cui The Lord of the rings ha influito molto è stato sicuramente l’utilizzo degli effetti speciali, utilizzando tutti i mezzi possibili per cercare di dare veridicità alle storie di Tolkien.
Due tecnologie, in particolare, sono state utilizzate in questa occasione e divenute pietre miliari anche in ambito cinematografico, ovvero la mixiature (o bigatures, come veniva chiamata sul set) e la motion capture. Nel primo caso abbiamo a che fare con dei modelli in miniatura dei set, anche se avevano comunque dimensioni consistenti (alcuni erano infatti alti sette metri), utilizzati per riprese aeree e d’ambiente che venivano poi rifiniti in digitale. L’utilizzo del motion capture aveva invece permesso agli attori di poter interpretare qualsiasi tipo di creatura, dai Na’vi di Avatar al drago Smaug de Il Signore degli Anelli.
Però non tutti i film e le serie fantasy degli ultimi vent’anni hanno avuto molto successo: esempi sono La Bussola d’oro, Eragon, The Shannara Chronicles (cancellata dopo la seconda stagione) e per ultimo Cursed, una rappresentazione del ciclo arturiano che aveva enormi potenzialità ma non è riuscita a convincere. Queste opere hanno fatto pensare che ci sarebbe stato un tramonto del genere, che si è però ripreso grazie alla serie TV Game of Thrones, realizzata dal 2011 al 2019 da David Benioff e D.B. Weiss, e che ha stimolato lo sviluppo di altri prodotti come The Witcher (dal 2019), Tenebre e ossa e La ruota del tempo (entrambe trasmesse dal 2021).





Di certo è impossibile non notare la riscoperta che si è avuta negli ultimi anni nei confronti dei fumetti dei supereroi, che in questi ultimi anni stanno avendo enorme successo grazie alle trasposizioni cinematografiche: esempi sono Batman, Spiderman, gli X-men, ecc. Anche in questo caso, lo sviluppo ed utilizzo degli effetti speciali digitali ha permesso di rappresentare in modo adeguato le gesta dei personaggi dei comics, che prima erano rappresentati in modeste pellicole realizzate con pochi mezzi.
Ciò che è rilevante, è comunque il fatto che si è capito che anche nel cinema fantasy possono essere rappresentati dei valori, come dimostra The Witcher, che parla di diversità e solitudine, Harry Potter, che insegna ad opporci al pericolo, e i personaggi Frodo e Sam che insegnano il valore dell’amicizia.
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